“ORI” PADOVANI FESTEGGIATI ALLA MONTECCHIA E ORI “PADOVANI” FIRMATI FIAMME… ORO: AL CENACOLO PIACE SEMPRE IL LUSSO

Dalla felice idea del calendarietto da tavolo 2021 con le immagini mensili dei 14 padovani che hanno conquistato l’oro nelle varie Olimpiadi alla fantastica serata della premiazione in diretta Tv condotta da Giorgio Borile con la consueta bravura fino alla prorompente esplosione di programmi e idee che nascono ancora in chiave padovana e comunque triveneta dai trionfi di Tokyo. Un momento di comprensibile euforia ai massimi livelli per il Cenacolo, già galvanizzato in modo esponenziale dagli oggettivi riscontri sui “media” e dall’opinione pubblica.
Calendarietto e serata di premiazione, una doppia “invenzione” – naturale e automatica – firmata Manuele Molinari che trova una formidabile e irresistibile rampa di lancio per un 2021 e 2022 (al momento ci fermiamo qui…) che non possono non tenere conto della stratosferica olimpiade di Tokyo. Una rampa di lancio dalla quale è doveroso cogliere ogni possibilità e sfumatura, utilizzando tutte le energia creative e pratiche per proporre la migliore programmazione ad hoc. Ricordando – repetita iuvant – che il Cenacolo è l’unico club esistente in Italia di cultura e opinione sportiva.

MONTECCHIA MAGICO SHOW, L’APRIPISTA CHE NESSUNO SI ASPETTAVA

Una premessa significativa: lo  spazio utilizzato per ricordare la serata degli “ori” padovani sarà dedicato soprattutto alle immagini colte a lato della piscina della Montecchia e nel palco centrale che dominava i tavolini, ma saranno alternate – e non potrebbe essere a mio avviso diversamente – per gli straordinari e più recenti avvenimenti giapponesi.

IL PRESIDENTE MOLINARI: “MOMENTO DA FAVOLA, IL BELLO COMINCIA ADESSO”

Il numero 1 del Cenacolo non nasconde la sua soddisfazione, aggiornata proprio alla conclusione dei Giochi: “Figuriamoci, ero già felicissimo dopo la memorabile serata dedicata ai padovani che hanno vinto l’oro olimpico, serata che ha riscosso un notevole successo da tutti i punti di vista. Ci consideriamo ormai una splendida realtà consolidata in cui i parametri di maggiore spicco e importanza stanno crescendo in maniera esponenziale: mi riferisco alla consapevolezza di poter organizzare trasmissioni televisive in diretta degli eventi, di garantire un elevato standard di ospiti, anche per oltre due ore, alla capacità di costruire una organizzazione all’altezza. Senza dimenticare l’aumento del numero dei soci attraverso un graduale ricambio generazionale. Una situazione ottimale per fronteggiare il “dopo-Tokyo”. Le idee non mancheranno, casomai  mancherà il tempo per realizzarle. “Un’occasione unica per dare il massimo di noi stessi – continua Molinari – Jacobs, Tamberi e Stano gareggiano per le Fiamme Oro di Padova, la staffetta 4 per cento maschile ha compiuto il più incredibile dei miracoli, un oro accompagnato dalla quinta prestazione mondiale di tutti i tempi. Il quartetto d’oro del ciclismo è per trequarti veneto-friulano, e Ganna è Ganna. Senza dimenticare il fenomenale Gregorio Paltrinieri, Vanessa Ferrari, Federica Pellegrini e le mitiche “Farfalle”. Non pensavo di divertirmi così tanto a vedere le Olimpiadi”. Senza dimenticare le fantastiche Paralimpiadi che ci hanno regalato il record assoluto di 63 medaglie si uniscono alle 40 delle Olimpiadi. Un trionfo inaspettato che ci riempie di orgoglio.”

L’AGGETTIVO PIU GETTONATO? STORICO

Considerando gli aggettivi che possiedono il massimo della carica semantica nel descrivere una situazione positiva, ci siamo divertiti a sentire e ricordare i più gettonati dai mass media, ma anche da parte dei tifosi, prendendo Tokyo 2020 come punto di riferimento: pazzesco, straordinario, fantastico, meraviglioso, magnifico, strepitoso (questi ultimi due a dire il vero sono un po’ in declino), incredibile, stupefacente, sensazionale, impensabile, inimmaginabile, leggendario… Fa eccezione un sostantivo: capolavoro. Ma sapete qual è stato il più frequente? Storico. Soprattutto nel sintagma fisso “risultato storico“. In effetti, la storia è stata ribaltata in pochi giorni.



ORI PADOVANI, QUASI PADOVANI, AMARCORD ED EMOZIONI

Alla serata alla Montecchia il 21 giugno hanno ricevuto il premio per la scherma Marco Marin, Francesca Bortolozzi con il marito Andrea Borella, olimpionico anche lui e padovano di adozione, e Gianfranco Dalla Barba; nel ciclismo, Silvio Martinello, Franco Testa e Giuseppe Beghetto: quest’ultimo, oro a Roma nel 1960, sperava di vedere seduto accanto a lui il compagno di tandem Sergio Bianchetto, che abita in Spagna a Valencia. ma il grande corridore, 83 anni, era stato operato il giorno prima all’anca: telefonicamente, ci ha espresso il suo rammarico. E infine, il mito del tiro con l’arco Marco Galiazzo (assente giustificato perché in ritiro con la Nazionale) e il fenomeno  del canottaggio Rossano Galtarossa, che oltre alle tante medaglie conquistate, vanta la partecipazione a 5 Olimpiadi.

IL DEBUTTO DEL RETTORE E GLI ALTRI VIP

L’elenco dei vip presenti alla serata del Cenacolo alla Montecchia rende l’idea del livello qualitativo: il prefetto Raffaele Grassi, il questore Isabella Fusiello, il sindaco Sergio Giordani con l’assessore allo Sport Diego Bonavina, il presidente del Tribunale Caterina Santinello, i professori Antonio Paoli e Tatiana Moro (università di Padova), Dino Ponchio presidente regionale del Coni, il comandante dei Carabinieri Luigi Manzini. Particolarmente festeggiata la nuova rettrice dell’università di Padova, alla sua prima uscita; il Bo l’anno prossimo compirà 800 anni.

 

IL BILANCIO: EPPURE QUALCUNO, UNA SETTIMANA PRIMA DEL TERMINE DEI GIOCHI,

AVEVA PARLATO DI FALLIMENTO AZZURRO…

Evidentemente la “rarità” dei Giochi, ogni quattro anni, in questo caso addirittura cinque causa pandemia, condiziona in maniera spaventosa quei giornalisti “copia incolla” poco abituati a capire l’essenza di una notizia a favore di personalissime interpretazioni a effetto. E così ci è capitato di leggere commenti in chiave disastrosa sulla spedizione azzurra, salvo poi “fare quasi finta di nulla” dopo le leggendarie imprese in serie da Tamberi e Jacobs in poi. Il punto di riferimento del popolo sportivo italiano ha sempre fatto capo alle olimpiadi di Roma del 1960, concluse con la conquista di 13 ori, 10 argenti e 13 bronzi, terzo posto assoluto nel medagliere internazionale. Il terzo posto di allora, con tutto il rispetto per Berruti e compagni, vale a nostro avviso molto meno del decimo di Tokyo 2020 accompagnato da 40 medaglie, 10 più 10 più 20.

Basta una sola considerazione per spiegare il perché: dagli anni Sessanta del secolo scorso, l’allora Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche si è disgregata perdendo nazioni che a loro volta sono rinate con risultati spesso sorprendenti (vedi Slovenia) e che hanno ridistribuito decine e decine di “nuove” medaglie. E così hanno partorito campioni altrimenti non convocati gli stati con suffisso in “stan” (che significa popolo, città) come Uzbekistan, Kirghizistan, Tagikistan, Kazakistan, Turkmenistan… E aggiungiamo i tre Paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania), Georgia, Moldavia, e poi la ex Jugoslavia, con Serbia, Croazia, Montenegro, Macedonia, Slovenia. Della serie: salire sul podio è sempre più difficile. Senza contare che il numero degli atleti a Tokyo (11.000) è esattamente il doppio di quelli di Roma 1960.

Volete una matematica controprova? Olimpiadi di Los Angeles 1984. La Romania si classifica al secondo posto assoluto nel medagliere conquistando la stupefacente cifra di 53 medaglie d’oro. Non c’entra la ricerca di “grandeur” del dittatore Nicolae Ceausescu in quanto, al potere da una ventina d’anni, ha riportatto risultati poco più che discreti. E non c’entra nemmeno la fuoriclasse della ginnastica Nadia Comaneci, perchè in pratica aveva già chiuso la sua attività. La spiegazione è un’altra: quell’anno la Russia e tutti i Paesi del blocco dell’Est hanno boicottato le Olimpiadi contro la Guerra fredda, ad eccezione della Romania che ha approfittato per guadagnare medaglie 10-15 volte più della media.

FLASH A GOGO

In ordine sparso aggiungiamo alcune notiziole non prive di curiosità. Ci fa piacere menzionare che, anche se non accompagnata da una medaglia, è stata di assoluto valore la prestazione di Veronica Lisi, quarta nel 4 di coppia femminile del canottaggio. La ginnasta delle farfalle di origine romena Daniela Mogurean è in forza all’Ardor dove si è integrata benissimo. Una citazione con particolare simpatia, inossidabile telecronista di atletica d’estate e fondo nello sci d’inverno, bolzanino di adozione, ma padovano di nascita. Padovana è anche Martina Centofanti, figlia del non dimenticato calciatore del Padova Felice. Per concludere ricordiamo sorridendo la vicenda dell’atleta polacco decisamente su di giri Pawel Fajdek che ha pagato il taxi con la medaglia d’oro appena vinta.

 

RIFLESSIONE FINALE

Nell’unica edizione delle Olimpiadi disputata senza pubblico sono stati battuti record mondiali a go-go. Non siamo esperti in materia, ci viene soltanto una spontanea riflessione che vale in gran parte per gli azzurri: anzichè sfruttare  gli automatici e codificati “aiutini” esterni del tifo, gli atleti hanno scavato a dismisura dentro il proprio io, scoperchiando nuovi orizzonti attraverso strumenti sui quali era scritto “sogni da tradurre in realtà, premere qui”. Ma anche “francesi e inglesi non ti curar di lor, ma guarda e passa”, da intendersi come testimone (quello della staffetta…).E così, Jacobs, Tortu e tutti i loro formidabili  compagni hanno scoperto, grazie al vuoto degli stadi, di possedere un’altra dimensione. Mai utilizzata.

La scherma è stata doppiamente sfortunata: se l’Italia nel suo complesso  avesse ottenuto risultati appena discreti, lo “zero” medaglie d’oro avrebbe creato meno traumi; paradossalmente invece, pur avendo conquistato una medaglia in più rispetto a Rio de Janeiro 2016 (tre argenti e due bronzi contro un oro e tre argenti), la spedizione è stata bocciata in termini crudi. E magari, chi scatenava sentenze per l’iniziale deficit di medaglie d’oro azzurre, avrebbe esultato alla Tardelli-1982 se avessimo guadagnato tutte le medaglie in palio per il pur rispettabilissimo badminton.

Sogni d’oro.

Paolo Donà

VAN GOGH, UN CENACOLO DI FORTI EMOZIONI

Amava dipingere nel cuore della notte, che porta consensi anche in chi mostra segni indelebili di sofferenza spirituale; indossava l’immancabile cappello, su cui alloggiava il suo esclusivo “lampadario” formato da candeline; un totale autodidatta, con dieci anni di intensissima carriera dai 27 ai 37. Ha rivoluzionato il concetto di arte come maestro del post-impressionismo e precursore dell’espressionismo alla fine del 19. secolo.

Senza una parte del lobo di un orecchio, ma soprattutto senza pace. E una morte tramite la peggiore modalità, il suicidio, anche se gli storici americani Steven Naifeh e Gregory White Smith propendono per la tesi di un assassinio ad opera di un ragazzo.

Pensiamo, nella lunga storia del Cenacolo, che la data del 10 febbraio 2021 debba entrare di diritto nei ricordi che contano, grazie alla visita guidata al Centro San Gaetano, dedicata a Van Gogh.

Il presidente Manuele Molinari commenta: “Una mostra organizzata alla perfezione, ottime le guide da ogni punto di vista. Mi ha impressionato la sensibilità che trasuda dai quadri dell’artista, che passa gradatamente a un più vivace utilizzo del colore nell’anelito di una vita di maggiori speranze da raggiungere con tenacia”.

QUALCHE FLASH POCO CONOSCIUTO SU UN PERSONAGGIO DALLA VITA SUI GENERIS.

BUONA LETTURA.

Una breve premessa, per me importante: chi mi conosce bene sa che in pubblico parlo molto brevemente per innata abitudine, e che non amo le auto-citazioni. Questo scritto mirato (tempo totale di lettura 7 minuti) parte unicamente dal desiderio di aggiungere qualche dettaglio, non fine a sé stesso, ma come base per ulteriori approfondimenti, rispetto a quanto è stato raccontato con assoluta maestria dalle guide turistiche e quanto è narrato sulle pareti del San Gaetano.

In particolare desidero complimentarmi – dopo averlo fatto a voce – con la guida che ha seguito il mio gruppo, Elisa De Togni. Sono anch’io una guida turistica dal 2007, ma ho cominciato l’attività ovviamente solo dopo essere andato in pensione come giornalista (30 anni al Gazzettino). Raramente ho trovato una giovane, oltretutto bella, così padrona della materia e della situazione, parlando per un’ora con una notevole soavità di voce, che ha reso più magico l’ascolto, di per sè in teoria frenato dalla fredda logica delle cuffiette.

Ho il piacere di scrivere queste righe da giornalista più che da guida, sperando di non avere dimenticato del tutto il mio (ex) meraviglioso mestiere.

I QUADRI VALGONO 100 MILIONI CIASCUNO, MA VAN GOGH NE HA VENDUTI DUE. O FORSE UNO

Un incredibile paradosso kafkiano: il grande Vincent (lo stesso nome del fratello nato morto) in dieci anni di carriera ha avuto una produzione di 860 quadri e 1.100 disegni (oltre a numerosi schizzi), vendendone soltanto due. O forse uno. Il paradosso è dato dalla macroscopica sproporzione tra il suo privato marketing – un disastro puro – e il valore complessivo attuale di tutte le sue opere, valutate fino a 150 milioni di euro l’una, che lo pongono al primo posto assoluto mondiale per quanto riguarda l’Ottocento e il Novecento; i quadri più famosi sono I Girasoli, Notte Stellata e La Camera di Vincent ad Arles. Al secondo posto della classifica, Pablo Picasso.

Ma quanto ha incassato van Gogh in vita dalla sua attività? Meno di mille euro. Il dipinto “La vigna rossa” è stato venduto a un prezzo che in questi anni corrisponderebbe a 850 euro. Il dipinto si trova attualmente al museo Puškin di Mosca. Sembra che l’artista olandese abbia guadagnato 80 euro rapportati al 2021 con un ritratto confezionato per un amico. Probabilmente il costo della cornice.

I MUSEI FIRMATI VAN GOGH: TANTA OLANDA, TANTISSIMA AMERICA

Tutti – o perlomeno tanti – conoscono l’esistenza del Museo van Gogh (200 quadri e 500 disegni) e il Rijksmuseum ad Amsterdam, dove sono collocati numerosi altri dipinti del grande artista. Molto meno nota al pubblico italiano la fantastica Galleria Kröller-Müller di Otterlo – sempre in Olanda – nel mezzo di un meraviglioso parco percorribile in bicicletta in un continuo contesto di foreste abitate da cervi, daini e altri animali. Un panorama eccezionale, che fa da contraltare a un van Gogh altrettanto eccezionale, di cui sono presentati 90 dipinti a olio e 180 disegni. Un consiglio? Se non avete visto la Galleria, la seconda del mondo come numero di quadri di van Gogh, andateci, o almeno consultate intanto su Google la location, adattissima alle famiglie e non troppo lontana dalla capitale Amsterdam.

Ma la sorpresa – se di sorpresa si tratta – viene dalla dislocazione dei musei europei e americani che contengono le opere di van Gogh.

Negli Stati Uniti, le città che hanno accolto i capolavori dell’artista sono in numero maggiore di quanto a percezione si possa immaginare: New York, Washington, Filadelfia, San Francisco, Los Angeles, Chicago, Portland, Pittsburgh, Cleveland, Dallas, Kansas City, Detroit, Honolulu, Boston, Richmond, Indianapolis, Houston, Cincinnati..

Sì, l’America è grande – si potrà obiettare – ma è anche stata fondata nel 1492, non potendo contare su tradizioni millenarie come gli Stati europei.

Nel Vecchio continente, non mancano le metropoli che ospitano van Gogh: Parigi, Londra, Madrid, Stoccolma, Copenaghen, Mosca, Kiev, Berlino, San Pietroburgo, Bruxelles, Monaco di Baviera.

In Italia soltanto Roma e Milano possiedono una traccia dell’immenso artista.

Sfogliando infine a caso la carta geografica, troviamo van Gogh anche a Tokyo, Buenos Aires, il Cairo, Avignone, Toledo, Göteborg, Zurigo, Berna, Colonia, Città del Messico, Glasgow, Auvers sur Oise, Lilla, Ottawa, Toronto, Hiroshima, Haifa, Gerusalemme, Tel Aviv, Praga, Anversa, Brema, Essen, Rotterdam, Belgrado, Edinburgo..

Imponente in percentuale la presenza di quadri nelle collezioni private.

Se pensiamo che van Gogh ha condensato la carriera in soli dieci anni, la sua presenza nel mondo è impressionante.

UNA VITA LAVORATIVA A CRONOMETRO: DUE QUADRI ALLA SETTIMANA!

Nella nostra carrellata, un aspetto che non può mancare: le ore quotidiane dedicate da van Gogh alla sua passione numero uno. Da semplici calcoli, emerge una media-produzione di due quadri alla settimana, un dato oggettivamente mostruoso.

Il pittore più veloce della storia, l’Usain Bolt del pennello? Impossibile dirlo, certamente merita il podio in un immaginario confronto. In punta di piedi, però, vi sottoponiamo due altri esempi di velocità, premettendo che un paragone diretto risulta impossibile per le evidenti diverse modalità di lavoro tra un singolo quadro e un gigantesco affresco. Ci riferiamo a Giovanni Battista Tiepolo e al figlio Giandomenico, e a Giotto.

I due Tiepolo hanno impiegato 218 giorni per affrescare i 670 metri quadrati della Residenz di Wuerzburg in Germania, la sede dei principi-vescovi della Baviera. L’affresco barocco – un emozionante capolavoro – è considerato il più grande del mondo.

Non meno sprinter il “nostro” Giotto che ha impiegato esattamente due anni (dal 25 marzo 1303 al 25 marzo 1305) per dipingere i 900 metri quadrati della Cappella degli Scrovegni. La squadra di lavoro era composta dai migliori venti elementi dell’Europa, ma bisogna considerare le difficoltà oggettive dell’epoca, e anche una particolarità: “giornata lavorativa” non si intendeva dalla mattina alla sera, ma quando il materiale utilizzato si asciugava. E l’umidità non mancava certo.

QUEL FURTO DI DUE TELE MADE IN ITALY

Nel 2002, prima dell’apertura alle 8 del museo di van Gogh ad Amsterdam, una o più persone si sono introdotte passando dal tetto per trafugare due opere dell’artista, ritrovate addirittura nel 2016. Un furto un po’ “italiano” da un certo punto di vista (non esaltante), dal momento che è intervenuta la Guardia di Finanza di Secondigliano e Scampia..

“SPORCO, MAL VESTITO E SGRADEVOLE”: L’HA DETTO LA DONNA PIU’ LONGEVA AL MONDO DI TUTTI

I TEMPI, VISSUTA 122 ANNI

Jeanne Colment, che lavorava nel negozio del padre ad Arles, di cui van Gogh era cliente, non ha usato mezzi termini nel definirlo “sporco, mal vestito e sgradevole” e anche “brutto, scortese e malato” nel corso di una conferenza stampa nel 1988, ricordando i 100 anni dall’incontro con l’artista ad Arles. Sembrano i titoli di due film, ma la notizia – e che notizia – è chiaramente un’altra: Jeanne è deceduta nel 1997 all’età di 122 anni e 164 giorni (!), record mondiale certificato di tutti i tempi dopo costosissime ricerche specializzate, entrando con i suoi 44.724 giorni di vita pure nel Guinness dei primati.

A 85 anni ha cominciato a tirare di.. scherma (i tre puntini sono per il presidente Molinari), a 100 andava in bicicletta, a 118 ha invece smesso chissà perché di fumare.

van Gogh comperava da lei i pennelli, e da perenne squattrinato le ha chiesto con successo anche soldi.

Curiosità nella curiosità: i tre fratelli di Jeanne sono morti rispettivamente all’età di 2 (due), 4 (quattro) e 97 anni..

DI LUI UNA SOLA FOTO ASSIEME AL COMPAGNO DI BARUFFE PAUL GAUGUIN

Negli anni di van Gogh, la fotografia era agli albori, regalando per definizione la tipica atmosfera frenetica delle grosse novità internazionali. Eppure, anche sotto questo aspetto il Nostro si è segnalato per una curiosa particolarità: si è fatto scattare solamente una foto in tutto, per giunta assieme al “compagno di baruffe” Paul Gauguin. Il colmo.

Questo unico scatto è datato 1887, ad Arles, ed è stato scoperto soltanto nel 2016. Restano anche due foto giovanili, quando l’artista aveva 13 e 19 anni.

 

 

GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE..
Se siete riusciti ad arrivare fino in fondo non posso che dirvi grazie. Lo confesso a cuore aperto: ho sempre considerato, nello scritto come nel parlato, l’ipotesi di annoiare, che mi ha accompagnato fino alla pensione e anche oltre. Quando da piccolo sentivo un qualsivoglia personaggio che cominciava il suo discorso in pubblico dicendo “innanzitutto desidero ringraziare..”, mi chiedevo spontaneamente “se questa è la prima notizia, chissà la seconda..”.

Ciao a tutti.

Post scriptum:
a dimostrazione che il Cenacolo è sulla notizia, al momento di andare in macchina – come si usava dire una volta – aggiungiamo con una punta di autoironia che il vincitore delle prime due medaglie d’oro ai mondiali di sci a Cortina, l’austriaco Kriechmayr, si chiama Vincent per dichiarata scelta della madre, insegnante d’arte, a ricordo di van Gogh..

Paolo Donà

UNA MEMORABILE SERATA DA INCORNICIARE

Due ore e 11 minuti la durata della diretta Tv7 Triveneta, almeno cinque mesi la durata dell’organizzazione dell’evento più importante dell’anno per il Cenacolo, il Premio Michelangelo. Come in un perfido crescendo rossiniano, il Covid-19 si è divertito a creare una stabile situazione di certezza-incertezza sulla realizzazione della serata che si è sviluppata con incredibile alternanza di “si fa”, “non si fa”. Stress garantito, soprattutto per il presidente Manuele Molinari, che con certosina pazienza ha resistito ai colpi micidiali dell’ineffabile virus; senza dimenticare l’oscuro lavoro di Stefano Edel che con la sua esperienza e autorevolezza è riuscito a tenere in piedi la “trattativa” per avere la sicurezza della contemporanea presenza dei premiati Fabio Balaso e Roberto Venturini.
Alla fine, per dirla alla Shakespeare, “tutto è bene quel che finisce bene”. Anzi, benissimo.

La magica atmosfera, comunque regalata per definizione dalla presenza della tv e resa particolarmente elettrizzante dalla splendida presentazione di Giorgio Borile (un self- made man che in questo difficile campo si è conquistato con umiltà e tenacia una notevole fetta di consensi) ha incantato gli 86 presenti alla manifestazione.

Teniamo a sottolineare che il coraggio della fiducia ha pagato, nel pieno rispetto delle norme di sicurezza. Significativa in tal senso la partecipazione del questore Isabella Fusiello, simpaticamente disinvolta nel suo intervento di saluto, con il vice questore Claudio Mastromattei, Antonio Paoli, delegato allo Sport del Magnifico Rettore, e Gianfranco Bardelle presidente regionale del Coni.

“Una serata brillante – commenta Molinari – sono molto orgoglioso del rivoluzionario criterio che nella selezione dei possibili premiati ha coinvolto i giornalisti padovani e per le votazioni anche i soci del club. Ognuno si è sentito investito nella parte rendendo ancora più prestigioso il “Michelangelo”. Particolarmente azzeccata la scelta dei vincitori in sintonia con lo spirito del nostro sodalizio”.

La serata, trasmessa da Tv7 Sport, ha fatto registrare un ascolto medio di 18.000 persone ogni quarto d’ora con un ragguardevole picco di 92.000, senza contare cinque repliche. Numeri importanti, anche valutati in un’ottica al di fuori di Padova.

Permettetemi una considerazione personale, che solo in parte credo sia di parte – scusate il gioco di parole – in quanto onorato di appartenere al Cenacolo. Durante la serata il collaboratore di Borile, Denis Maran, ha intervistato numerosi soci del Cenacolo.

Per la mia esperienza, posso affermare che in una simile tipologia di evento che si svolge davanti a un certo numero di persone, non di rado già al terzo, quarto intervento al microfono, la ripetitività delle parole è assicurata, scegliendo la comoda arma degli aggettivi standard “bello, bellissimo, mi è piaciuto”.

Ripeto. Sarà anche piccolo spirito di parte, ma ho attentamente seguito le mini-interviste, tutte diverse nel lessico e nel contenuto, fatte qella sera. E mi è venuto in mente il filosofo tedesco Heidegger (forse si rivolterà nella tomba…) che sosteneva come concetto di base del suo credo “una parola, un pensiero”. Ecco, il Cenacolo mi sembra un variegato ed esaltante coacervo di pensieri mai banali, al servizio del club.

 

VINCE IL CORONAVINUS! QUELLO DI NEVIO SCALA

VINCE IL CORONAVINUS! QUELLO DI NEVIO SCALA

Nevio Scala al Cenacolo di PadovaOltre le più rosee previsioni: la classica frase “salva ottimismo” che immancabilmente viene utilizzata per esprimere la profonda soddisfazione per un evento che ha riscosso un inaspettato successo. Ma nel caso del debutto dopo il “tutti a casa” del virus, la serata del Cenacolo alla Montecchia potrebbe far coniare (almeno ad uso interno dei soci…) l’espressione rinforzata “oltre le più folli e rosee previsioni”. I presenti hanno raggiunto quota 99, nuovo record del club escludendo la festa degli auguri natalizi, ma soprattutto l’atmosfera che si è respirata dal primo all’ultimo minuto ha avuto il fresco e frizzante sapore di un nuovo punto di partenza, freneticamente atteso per mesi, alla faccia del Covid-19.

La caratura degli ospiti ha fornito un ulteriore valore aggiunto alla qualità della kermesse: il tecnico Nevio Scala (con il figlio Claudio) nelle vesti di produttore di vini a Lozzo Atestino (imperdibile il suo Garganega); Nicola Sponsiello, nutrizionista dello Sport; Guido Busato, agronomo; Renato Malaman, giornalista esperto in enogastronomia.

Vince il CoronaVinus. Quello di Nevio ScalaOspiti d’onore, il prefetto Renato Franceschelli e il sindaco Sergio Giordani, socio del Cenacolo. Sapiente la regia di Stefano Edel (anche lui socio del sodalizio) nelle vesti di moderatore dell’incontro. E’ intervenuta anche la professoressa Tatiana Moro, in rappresentanza dell’università di Padova, che ha pianificato assieme al Cenacolo l’iniziativa di una borsa di studio da 2.500 euro da assegnare al migliore laureato in Scienze Motorie.

Nicola Sponsiello al Cenacolo di Padova“Una estrema soddisfazione” – commenta il presidente del sodalizio Manuele Molinari“Tra l’altro il nostro evento ha coinciso con la riapertura della Montecchia. Ho constatato un clima meraviglioso tra i partecipanti. Sottolineo con piacere che la serata è trascorsa nel segno di un meraviglioso spirito di aggregazione. Senza contare il prestigioso accordo con l’università di Padova”.

 

Tra un bicchiere e l’altro, oltre che sul vino (Scala nella sua carriera non ha mai fatto mistero della sua naturale e forte inclinazione e propensione per il mondo agricolo), il discorso è scivolato sul calcio. Parma, Spartak Mosca, Shakhtar Donetsk (Ucraina, città natale del formidabile astista Sergjei Bubka che proprio a Padova ha stabilito il record del mondo con 6.12), Besiktas Istanbul e Borussia Dortmund sono stati i pilastri su cui ha costruito la sua notevolissima attività di allenatore, dopo essere stato ottimo calciatore del Milan. Scala, persona di valori antichi e spessore morale, ha spiegato che pur avendo un traduttore al seguito di fronte alla oggettiva difficoltà di parlare russo, ucraino e turco oltre alle quattro lingue che già conosce, e pur essendosi divertito moltissimo per la sua inedita esperienza, ha incontrato un ostacolo impossibile da superare proprio nelle traduzioni dell’interprete: “Per quanto bravo sia, traduce fedelmente parola per parola, ma non potrà mai riprodurre la voce dei sentimenti”. Un simile pensiero ci pare rappresentare in maniera completa il bellissimo mondo interiore di Nevio Scala, un vero signore.

Un articolo di: Paolo Donà


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Intervista a: Fabio Balaso

Intervista a: FABIO BALASO

Fabio Balaso è uno dei tre candidati al premio Michelangelo, il prestigioso riconoscimento che il Cenacolo assegna allo sportivo padovano dell’anno. Il libero della nazionale di pallavolo e della Lube Civitanova – con la quale nel 2019 ha vinto scudetto, Champions League e Mondiale per Club – è originario di Trebaseleghe ed e è cresciuto nella fila della Pallavolo Padova dove ha esordito da titolare a soli 16 anni, mettendo assieme 162 presenze. Dalla Kioene, due stagioni fa, il grande salto alla Lube dove è diventato uno dei grandi protagonisti dei trionfi della società marchigiana.

Fabio Balaso“Sono felice e onorato di essere tra i candidati di questo premio – dice Balaso -, ringrazio le redazioni sportive che mi hanno indicato. Il 2019 è stato effettivamente un anno speciale per me con tante vittorie. Sono consapevole che con tutta la squadra abbiamo fatto veramente qualcosa di speciale”. Cosa sa del premio? “Mi hanno detto che non si sa ancora quando si conoscerà il vincitore, però a questo punto spero di essere in lizza fino alla fine e, perché no, anche di vincere”.
Dove sta vivendo in questi giorni particolari? “Sono rimasto a Civitanova, anche dopo lo stop ai campionati. Ho preferito non muovermi, visto che la società mi ha lasciato l’appartamento a disposizione. Credo di tornare a Padova dopo il 4 maggio. Però sono tranquillo, perché i miei genitori stanno bene e vedo che anche in Veneto la situazione sta decisamente migliorando. Abito vicino al mare e la tentazione di fare una bella corsetta l’ho avuta molte volte, ma ho osservato rigorosamente le regole”.

E’ però in buona compagnia. “Sì, sono con Sara, la mia fidanzata e il mio cane Buddy, da sette mesi il nostro nuovo coinquilino. Ci facciamo tutti molta compagnia. Sono anche fortunato perché ho un po’ di giardino a disposizione e questo rende le cose un po’ più semplici”.

Come trascorre le giornate? “Credo un po’ come tanti, in casa tra un film, una lettura e un po’ di allenamento. E, ovviamente, il giro dell’isolato con Buddy”.

Fabio BalasoCome ci si allena in casa? “Faccio tre volte alla settimana pesi. Alla Lube siamo stati in palestra fin a quando è stato possibile. Con la certezza della chiusura dei campionati, ci siamo ovviamente fermati. Abbiamo fatto un ultimo ritrovo al palasport, con le necessarie precauzioni, e ci siamo salutati. Con un po’ di tristezza, perchè quando sei abituato a vivere in palestra e vederti due volte al giorno è difficile azzerare tutto da un momento all’atro”.

Il blocco dei campionati ha suscitato parecchie polemiche tra Lega e Federazione. Lei cosa pensa? “Penso che sia stata presa la decisione giusta. L’ultima partita che abbiamo giocato era a porte chiuse ed è stato davvero surreale. Noi giochiamo soprattutto per il pubblico e farlo a spalti vuoti aveva davvero poco senso”.

E la Nazionale? “Anche lì tutta l’attività è stata sospesa. Si dice che forse a giugno o a luglio si potrebbero organizzare degli stage per i più giovani, ma credo sia ancora presto per capire se questa cosa sarà possibile”.

Come giudica la trattativa per ridurre gli ingaggi della stagione? “Una riduzione è giusto che ci sia, ma il 30 per cento ipotizzato all’inizio è secondo me troppo. Molte squadre erano a poche giornate dal fine della stagione e una decurtazione di questo tipo penalizza eccessivamente”.

Come si immagina il prossimo campionato? “Sarà un anno di transizione. Quasi tutte le società hanno grossi problemi economici e quindi questo condizionerà le scelte tecniche e di mercato. Ci dovremo rassegnare alla partenza di molti campioni e, quindi, sarà un campionato diverso. D’altronde molti sponsor faticheranno a onorare i loro contratti e molti potrebbero addirittura ritirarsi. Sarà un campionato particolare ma non per questo, meno interessante. Magari cambieranno certi valori”.

Ci sarà però la possibilità di lanciare molti giovani. “E questa sarà una gran bella cosa. C’è un gran bisogno di valorizzare i nostri talenti e questa sarà certamente l’occasione buona”.

In fin dei conti la grande carriera di Fabio Balaso è nata così. Quando la Pallavolo Padova ha deciso che in A/2 si poteva anche giocare con un libero di 16 anni. Un’intuizione, una scommessa vinta, un investimento su un ragazzo che è comunque rimasto quello di una volta: umile, silenzioso, incline al sacrificio e sempre pronto ad ascoltare e a imparare. Le basi per diventare un campione assoluto.

Un articolo di: Massimo Salmaso

Intervista a Andrea De Nicolao

intervista a: ANDREA DE NICOLAO

Lo stop definitivo al campionato di LegaBasket Serie A decretato dalla Federazione Italia Pallacanestro ha finito per bloccare, inevitabilmente, anche la stagione di Andrea De Nicolao. Il 28enne play padovano, vice-capitano della Reyer Venezia con la quale aveva vinto lo scudetto la scorsa stagione, stava disputando un’ottima annata: tra i protagonisti assoluti del trionfo orogranata di metà febbraio nelle Final Eight di Coppa Italia a Pesaro, ha anche ritrovato la maglia della Nazionale.

Come sta vivendo questa situazione?
«Direi che lo stop definitivo al campionato, oltre che una decisione di buon senso, sia stato a questo punto inevitabile. Noi tutti speravamo di poter riprendere a giocare ma, dopo un mese dall’inizio, eravamo ancora troppo indietro nel combattere questa epidemia. Ipotizzare scenari futuri in questa situazione non era semplice e giocare dopo il 30 giugno, francamente, impensabile… avrebbe finito col “minare” anche la prossima stagione. Lo dico senza voler fare polemica: noi atleti professionisti non siamo delle macchine; il riposo, troppo spesso sottovalutato, è parte integrante dell’allenamento e permette di ricaricare le pile, anche dal punto di vista mentale. Che poi, francamente, riposo è solo dalle sedute di squadra: la società ci ha fornito un programma-guida da seguire; ed anche durante l’estate ognuno di noi ne approfitta per andare a correre, per fare un programma personalizzato o sedute di tiro. Con il “rompete le righe” definitivo dato dalla società, comunque, anch’io sono tornato a casa qui a Varese: mi sto godendo un po’ la famiglia, ne approfitto per passare più tempo con mia moglie e mia figlia. Avendo fortunatamente un giardino grande, sfruttiamo le belle giornate per stare all’aria aperta; cerchiamo di rilassarci un po’, giocando e leggendo, senza però trascurare i lavori di manutenzione che sono comunque sempre tanti (non a caso lo abbiamo raggiunto telefonicamente in una pausa tra il ripulire del boschetto e pitturare, ndr) » .

Nel frattempo, da Padova è giunta la nomina per il Premio “Il Michelangelo” fiore all’occhiello del Cenacolo: dove figura nella triade di atleti con Fabio Balaso del volley e Alberto Dainese del ciclismo. «Fa davvero molto piacere! Non conosco nei dettagli la storia del premio, e francamente nessuno me lo ha comunicato ancora ufficialmente: lo ho appreso anch’io dai giornali… So, però, che è un riconoscimento molto importante e con una sua lunga storia alle spalle (istituito nel 1987 intende premiare ogni anno l’atleta e il dirigente padovani autori di imprese nella stagione agonistica precedente o in carriera, ndr) : scorgendo l’albo d’oro, tra l’altro, ho visto che per il basket lo ha vinto soltanto Leo Busca nel 2016. Sarebbe dunque per me un doppio onore» .

Di recente, la pagina Facebook “Storia del Basket Padovano” ha inoltre lanciato una sfida: ricordando il derby giovanile del 2005 (portando a testimonianza l’articolo del “Gazzettino” dell’epoca, da lei fornito) nel quale, in maglia Virtus ’91 contro il Petrarca Patavium, segnò ben 65 punti. E’ stata la sua miglior partita? «Migliore in assoluto, non so. Ma, anche se ormai lontana nel tempo, la ricordo ancora bene: fu davvero singolare, segnavo con facilità; e resta in assoluto, come quando me lo chiedono i bambini, quella in cui ho fatto più punti. Anche da giocatore professionista, però, ho fatto buone prestazioni: solo quest’anno, ad esempio, ho ottenuto il record mio e della Reyer nel numero di assist in una gara (i 14 assist contro Cantù sono 4° risultato assoluto ogni tempo di un italiano nel massimo campionato, ndr) o le stesse gare di Coppa Italia…» .

E il futuro come lo vede? «Speriamo davvero che a settembre si possa ripartire. Con che regole, lo decideranno le istituzioni: la serie A, infatti, rappresenta una spinta per tutto il movimento. Certo, la speranza è anche quella che si possa farlo con i tifosi: con la Reyer siamo stati gli ultimi a giocare, il 3 marzo nel derby italiano con Brescia per l’ultima giornata di Top 16 di Eurocup; quella gara si disputò a porte chiuse e anche se vinta, facendoci tra l’altro passare il turno (l’Eurocup ufficialmente non è stata ancora sospesa e per di più mette in palio un posto per l’Eurolega della prossima stagione, ndr) , fu una sensazione strana e particolare. Dal punto di vista personale, ho un altro anno di contratto e, salvo situazioni clamorose, dovrei dunque restare un altro anno in maglia orogranata » .

Un articolo di: Giovanni Pellecchia